Celiachia, Gluten sensitivity e Grani antichi


L’incidenza della celiachia in Italia è stimata in un soggetto ogni 100 persone e ogni anno vengono effettuate 10.000 nuove diagnosi con un incremento annuo di circa il 10%. Sebbene l’aumento dei casi registrato è in parte attribuibile alle migliori tecniche diagnostiche, esistono una serie di fattori ambientali che svolgono un ruolo importante nel favorire la comparsa della patologia in soggetti geneticamente predisposti, che ne modulano l’insorgenza e gravità dei sintomi. Tra questi fattori esterni sicuramente da annoverare la mancanza di allattamento al seno,   l’introduzione precoce del glutine durante lo svezzamento, (<4°mese) o troppo tardiva (>7°mese) eventi stressanti (il parto), malattie virali e qualità del microbiota intestinale (presenza maggiore di Bacteroides Prevotella-Es.Coli rispetto a Lactobacilllus Bifidobacterius). Un ruolo centrale è poi rivestito dall’alimentazione, in particolare dalla quantità di glutine ingerito e al grado di tossicità del glutine stesso, che è dovuta a specifiche sequenze amminoacidiche note come epitopi:  in sostanza una persona geneticamente predisposta diventa celiaca quando supera una certa determinata soglia patologica. Non tutti i grani infatti presentano la stessa tossicità: a causa della selezione fatta negli ultimi anni dalle industrie alimentari, mirata più ad aumentare la resa che agli aspetti nutrizionali, sono stati immessi nel mercato alimentare europeo varianti di grano tenero con un contenuto di peptidi tossici, prolamine, molto più elevato rispetto a quelle in uso nella prima metà dello scorso secolo, come il grano Senator Cappelli, il grano Monococco o piccolo farro, o il grano Khorasan, noto col marchio commerciale di Kamut. Le prolamine (proteine del glutine) sono ricche di prolina, aminoacido che le rende poco digeribili perché nel tratto digerente dell’uomo mancano le prolil-endopeptidasi, enzimi digestivi in grado di rompere il legame endopeptidico che coinvolge questo amminoacido che, quindi scarsamente digerite nello stomaco umano, giungono a contatto con la parete intestinale ancora intatte o in frammenti di grosse dimensioni in grado di scatenare reazioni avverse di varia natura. Oltre al tipo di grano, anche il crescente utilizzo di pesticidi e fertilizzanti sembra avere avuto un ruolo determinante nell’aumentata concentrazione di peptidi tossici nei “nuovi” cereali:  uno studio recente ha ipotizzato una realzione tra il glifosate, e celiachia: questo erbicida abbondantemente usato in agricoltura convenzionale, i cui residui sono stati trovati nel pane e altri alimenti che ingeriamo, inibendo alcuni enzimi coinvolti nei meccanismi di digestione del glutine, ne favorirebbe il passaggio di grossi frammenti con epitopi  tossici all’intestino. In più, anche la velocizzazione  dei processi di lievitazione  a cui sono sottoposti gli attuali prodotti da forno, sono responsabili di una concentrazione maggiore di peptidi tossici del glutine all’interno di tali alimenti; cosi, con l’aumentare del consumo di pasta e pane, si stima che la quantità di glutine introdotta per persona sia tra 10-20 grammi al giorno con porzioni della popolazione che arrivano a consumarne fino a 50 o più grammi nell’intera giornata. In più il glutine viene aggiunto ai pani confezionati, per conservare più a lungo qualità organolettiche che andrebbero altrimenti perse durante lo stazionamento negli scaffali del supermercato (https://www.renataalleva.it/pagnotta-mulino-bianco-contiene-glutine-come-additivo/), ed è presente  anche come ingrediente in molti farmaci. Questo carico elevato che la maggior parte di noi ingerisce, non  soltanto provoca danni ai soggetti affetti da celiachia, ma è un grado scatenare una serie di reazioni che oggi sono state identificate nella gluten sensitivity. Questa nuova entità clinica, denominata anche intolleranza non-celiaca al glutine, si riscontra nell’ 8-10% della popolazione, ed è caratterizzata dalla comparsa di sintomi intestinali (eccessiva produzione di gas, diarrea) ed extra-intestinali (cefalea, irritabilità, spossatezza, leggera anemia, mente annebbiata) immediatamente dopo un pasto contenente grano e dalla assenza di danni alle mucose intestinali e/o alterazione dei marcatori anticorpali specifici della celiachia. Se chi soffre di celiachia deve escludere il glutine, e seguire una dieta utilizzando alimenti naturalmente privi ( quinoa, riso, amaranto, grano saraceno, miglio, mais), chi manifesta una gluten sensitivity può avere una regressione/controllo dei sintomi riducendo l’esposizione ad epitopi tossici, tollerando nella dieta anche alcuni grani antichi, che ne hanno un minore contenuto come il Saragolla, khorasan (nome commerciale Kamut) la Tumminia, il Grano Monococco (piccolo farro), il Gentil Rosso, la Verna, e soprattutto provenienti da agricoltura biologica, privi quindi di residui di pesticidi.  Un particolare grano  tenero a basso contenuto di glutine è la  varietà Solina  coltivato in alcuni Comuni montani della provincia dell’Aquila in Abruzzo, localizzati all’interno del territorio del Parco Nazionale del Gran Sasso. La sua frugalità la rende adatta alla coltivazione con i metodi dell’agricoltura biologica, in quanto non richiede elevati apporti di azoto e, grazie alla sua taglia ed alla sua capacità di accestimento, riesce a competere con le erbe infestanti, non rendendo così necessario il ricorso al diserbo chimico ( trattamenti con glifosate).L’utilizzo di questi grani è da preferire anche in termini di prevenzione, in soggetti che non manifestano sintomi, perché più sani e meno infiammatori. Esistono poi in commercio alcune nuove interessanti proposte valide dal punto di vista nutrizionale, che non contengono glutine e che potrebbero essere inserite nella dieta anche di individui sani.  Tra queste novità  da citare il  Teff, un cereale di colore rosso ocra, coltivato in Etiopia dove costituisce la base dell’alimentazione: completamente privo di glutine e molto ricco di proteine, carboidrati, amminoacidi essenziali, fibre, potassio e la farina che se ne ricava è sempre integrale  e ottima per preparare pane, focacce e vari tipi di dolci.  Un gruppo di ricerca Serbo ha invece pubblicato uno studio, sul Journal of Food Science   in cui mostrano  un nuovo tipo di cracker perfettamente digeribile da chi è affetto da celiachia, perché privo di glutine è stata impiegata farina di canapa combinata con the verde per la realizzazione di.  La farina di canapa  che è un sottoprodotto della produzione dell’olio di canapa spremuto a freddo, sembrerebbe tuttavia un ottimo ingrediente non solo per chi soffre di celiachia, ma per tutti coloro che desiderano seguire una dieta sana: infatti, è molto ricca di proteine e fibre, ha un elevato contenuto di minerali, acidi grassi essenziali, omega-6 e omega-3, e contiene sostanze fitochimiche attive.

Referenze

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